Politica
23/08/2021
di Umberto Mastromartino
Inchiesta "Decima Azione bis". Un'opportunità per rialzare la testa.
E' stata molto triste e dolorosa, ma necessaria, la decisione del Governo di affidare la gestione del Comune di Foggia ad una commissione straordinaria per ben 18 mesi, a seguito dell'acclarata permeabilità dell'ente ai condizionamenti della criminalità organizzata. La gravità delle situazioni emerse ed il grave pregiudizio arrecato agli interessi della collettività, come evidenziato nella relazione del ministro Lamorgese, non consentivano scelte diverse.
Sbaglieremmo in modo grave, tuttavia, se pensassimo che basti lasciar fare tutto allo Stato. Il monito e l'allarme riguardano la città nel suo insieme, a partire dalla classe dirigente non solo politica. Siamo tutti chiamati a dare segnali netti di discontinuità e di inversione di tendenza, rompendo la morsa di paura, di interessi e di connivenze che hanno consentito alla criminalità organizzata di acquisire potere in città e certezza di impunità.
Una prima occasione è rappresentata dall'udienza preliminare, fissata per il prossimo 16 settembre, per la richiesta di rinvio a giudizio di una quarantina di indagati nell'inchiesta denominata "Decima Azione bis", che vede alla sbarra persone affiliate ai clan ed accusate di essere protagonisti e comprimari del racket delle estorsioni. La richiesta di rinvio a giudizio individua anche ben ventisei parti offese, fra le quali figurano noti imprenditori della nostra città.
L'udienza preliminare rappresenta il momento in cui sono ammesse le costituzioni di parte civile. Dando per scontata la presenza degli enti e delle istituzioni legittimate a costituirsi, già preannunciata dalla Fondazione Antiusura Buon Samaritano per quanto riguarda il reato di usura, sarebbe un segnale di svolta se si costituissero anche le parti offese, gli imprenditori estorti e minacciati.
Probabilmente una singola costituzione potrebbe esporre l'interessato al rischio di ritorsioni, ma se lo facessero in tanti, se non si trattasse di un gesto isolato, la criminalità sarebbe messa spalle al muro e non ci sarebbero rappresaglie come dimostra la storia di tutti i processi del genere celebrati in Italia. Libero Grassi e Giovanni Panunzio furono uccisi non perché si fossero ribellati al racket, ma perchè furono i soli a farlo.
Auspico che dalle istituzioni, dagli organi d’informazione, dall'opinione pubblica giunga un serio, partecipe, solidale incoraggiamento a questa prospettiva, che rappresenterebbe anche un modo, per questi imprenditori, di riaffermare con generosità la propria appartenenza alla comunità cheha dato loro, dopoanni di duro lavoro e ditanti sacrifici, successo e prosperità. Perché solo il senso e l'orgoglio di comunità possono accompagnare utilmente l'azione dello Stato e trionfare sul rapace egoismo di clan tipico della cultura mafiosa, consentendo così alla Città di rialzare la testa.
Pippo Cavaliere